Intelligenza emotiva e casualità

Intelligenza emotiva e casualità
Manuale di scienza pratica dell'imprevedibile

venerdì 29 luglio 2011

Le intelligenze multiple di Gardner

Howard Gardner, lo psicologo statunitense che per primo ha proposto il modello delle intelligenze multiple, ha avuto il merito di aver riacceso il dibattito scientifico e filosofico sul tema dell’intelligenza. La sua teoria critica fortemente la concezione tradizionale dell’intelligenza che si è affermata in psicologia fin dai primi studi psicometrici e secondo la quale esisterebbe un fattore d’intelligenza generale che avrebbe il suo corrispettivo quantificabile nel QI (Quoziente Intellettivo). A questa definizione d’intelligenza come di una facoltà mentale unitaria, presente in quantità variabile negli individui e che sarebbe responsabile di ogni tipo di prestazione cognitiva, Gardner contrappone un modello che prevede l’esistenza di una pluralità d’intelligenze, ognuna delle quali sarebbe autonoma rispetto alle altre dal punto di vista neurologico. In base agli studi di Gardner, quindi, non esiste un’unica intelligenza bensì sarebbe possibile rilevare la presenza di molteplici facoltà mentali distinte tra loro, almeno otto o nove, che operano in ognuno di noi in modo diverso e formando delle combinazioni che ci rendono unici.


Gardner sostiene che l’evoluzione ha portato allo sviluppo di ben nove forme d’intelligenza, le quali consentirebbero a ogni individuo di poter interagire con l’ambiente sociale e naturale in maniera favorevole. Le intelligenze individuate da Gardner sono le seguenti:
  • linguistica, che permette di utilizzare un ampio vocabolario di parole e che può essere applicata a ogni aspetto della produzione linguistica, da quello fonologico alla sfera semantica;
  • logico-matematica, che consiste nella capacità di scoprire le relazioni fra numeri, simboli e configurazioni. Questa intelligenza è coinvolta nelle operazioni di categorizzazione, nella produzione di schemi e nel ragionamento ipotetico-deduttivo;
  • musicale, ossia la capacità di riconoscere melodie e nel comporre musica. Solitamente è localizzata nell’emisfero destro del cervello, quello più legato alle emozioni.
  • spaziale, che si esprime nella capacità di visualizzare immagini mentali e di rappresentare gli oggetti presenti nello spazio circostante;
  • corporeo-cinestetica, che è coinvolta nella coordinazione dei movimenti del corpo e nella manipolazione degli oggetti. Grazie a questa forma d’intelligenza, le persone sono in grado di esprimere una vasta gamma di pensieri e di emozioni;
  • interpersonale, che coinvolge il cervello nella sua globalità, poiché serve a regolare la comunicazione con le altre persone. È caratteristica di chi ha saputo sviluppare al meglio l’empatia e le abilità sociali;
  • intrapersonale, che si riferisce alla capacità di comprendere la propria vita emotiva e affettiva, al fine di raggiungere una migliore consapevolezza di se stessi e degli altri;
  • naturalistica, la quale consiste nel saper individuare gli oggetti esistenti nell’ambiente naturali e nel cogliere le relazioni tra di essi.
Tra le varie abilità intellettive che Gardner ha individuato, sono quelle che si riferiscono alle competenze sociali ad aver destato l’interesse maggiore fra gli psicologi e che in gran parte ritroviamo comprese anche nel concetto d’intelligenza emotiva.

martedì 26 luglio 2011

Sbagliando s’impara


La dottoressa Evelyn Crone, dell’Università olandese di Leida, ha svolto nel 2008 uno studio scientifico per scoprire se gli individui imparino più dai successi oppure dai fallimenti. I risultati di questa ricerca sono molto interessanti, poiché evidenziano delle differenze notevoli in rapporto all’età dei soggetti esaminati: con il crescere dell’età, anche i fallimenti cominciano a lasciare il segno sulla memoria per cui si può imparare anche da essi, mentre i bambini sembra che imparino dai successi piuttosto che dai fallimenti.
Fino ai dodici anni, il meccanismo dell’apprendimento funziona meglio attraverso i successi, poiché i neuroni memorizzano le informazioni raccolte in maniera più efficace e duratura, tanto che, in compiti analoghi proposti successivamente, i bambini tendono a rispondere ancora in modo corretto. Invece non si registra alcun miglioramento significativo dopo aver compiuto degli errori ai test cui erano stati sottoposti, ma anzi in questa fascia di età si tende a ripeterli anche la volta successiva, dimostrando così di non aver appreso nulla di positivo dal fallimento precedente.
A risultati molto simili sono pervenuti già nel 2009 anche i neuroscienziati del MIT di Boston, guidati da Earl Miller, i quali hanno condotto uno studio su un gruppo di scimmie per verificare quanto fossero in grado di apprendere dall’esperienza passata. Il test per le scimmie consisteva in una sorta di videogioco, in cui comparivano come stimolo due figure sullo schermo: un uomo con la pipa e un semaforo. Gli animali dovevano reagire alla prima immagine voltandosi verso destra, mentre al comparire della seconda avrebbero dovuto girarsi dalla parte opposta ed in entrambi i casi ricevevano in cambio un premio. Attraverso le varie prove cui sono state sottoposte, le scimmie esaminate imparavano le risposte corrette basandosi soltanto sui successi, mentre dagli errori non sembravano aver acquisito alcuna informazione utile per poter migliorare la loro performance.
Miller e i suoi colleghi misuravano l’attivazione delle cellule neuronali della corteccia prefrontale e i gangli basali, che sono le due aree del cervello più direttamente collegate con i movimenti da eseguire e che servono per coordinare pensieri e azioni. Quando si voltavano dal lato sbagliato, i neuroni di queste aree si attivavano per un tempo brevissimo, addirittura meno di un secondo, mentre in caso di successo l’attivazione delle stesse aree durava molto più a lungo, nell’ordine anche di cinque secondi. In conclusione, secondo Miller le scimmie riescono ad imparare più dai successi che dai fallimenti.
Questo modello di apprendimento non può essere applicato integralmente alla specie umana, poiché, come ha dimostrato la dottoressa Crone, da adulti gli esseri umani riescono a imparare anche dalle proprie azioni sbagliate, il cui ricordo incide sulla memoria allo stesso modo di quello delle azioni corrette. Le memorie immagazzinate nel cervello che si riferiscono alle esperienze passate costituiscono perciò una riserva preziosa di informazioni cui attingere in situazioni simili: anche evitando di ripetere gli stessi errori, una persona adulta riesce a modificare il proprio comportamento in maniera efficace.

Scoperte cinque nuove emozioni universali


Fin dagli anni sessanta, gli psicologi hanno studiato le emozioni cercando di individuare quali espressioni del volto erano riconosciute da tutti gli individui, indipendentemente dalle tradizioni culturali cui appartenevano. Secondo le ricerche condotte da Paul Ekman, sarebbero sei le emozioni che possono essere considerate universali:
  • Rabbia
  • Disgusto
  • Tristezza
  • Gioia
  • Paura
  • Sorpresa 
Recenti studi pubblicati dalla prestigiosa rivista New Scientist, indicano la possibilità che a questo elenco possano essere aggiunti altri quattro stati d’animo universalmente riconosciuti, che sono il sentirsi ispirati, la curiosità, l’orgoglio e la gratitudine.

L’orgoglio è un’emozione molto complessa, poiché presenta diverse sfaccettature: infatti, da una parte motiva l’individuo ad accrescere la propria autostima e lo mette in condizione di raggiungere più facilmente gli obiettivi prefissati, mentre dall’altra parte può sconfinare spesso nell’arroganza eccessiva sicurezza di sé, tanto da diventare uno dei sette peccati capitali della dottrina morale cattolica con il nome di superbia, intesa come il desiderio irrefrenabile di primeggiare sugli altri.


Chi si sente ispirato (in inglese, elevation o uplifting emotion) sperimenta un’emozione positiva di fiducia in se stesso e negli altri, che lo porta a sentirsi parte di un progetto a lungo termine in grado di migliorare le proprie e altrui condizioni di vita. A questa emozione corrisponderebbe anche la produzione di uno specifico ormone, mentre fra i ricercatori non è ancora stato raggiunto un accordo circa l’espressione facciale caratteristica di questo stato d’animo.


L’orgoglio è un’emozione molto complessa, poiché presenta diverse sfaccettature: infatti, da una parte motiva l’individuo ad accrescere la propria autostima e lo mette in condizione di raggiungere più facilmente gli obiettivi prefissati, mentre dall’altra parte può sconfinare spesso nell’arroganza eccessiva sicurezza di sé, tanto da diventare uno dei sette peccati capitali della dottrina morale cattolica con il nome di superbia, intesa come il desiderio irrefrenabile di primeggiare sugli altri.

La gratitudine è l’ultimo sentimento, in ordine di tempo, che è stato candidato a diventare un’emozione fondamentale. Si tratta di un’emozione che aiuterebbe le persone a sviluppare le loro relazioni sociali, a partire proprio dal rapporto di coppia. Meno poeticamente, siamo di fronte all’immortale principio reciprocità incarnato nella formula latina del do ut des, che significa il dare delle cose in cambio di altre. In una società dalle relazioni sociali tanto complesse quanto la nostra, il saper riconoscere le persone “giuste” di cui fidarsi e con le quali innescare un circolo virtuoso di “dare e ricevere”, rappresenta un indubbio vantaggio a livello evolutivo.

La propensione alla curiosità si manifesta in quelle persone che desiderano imparare qualcosa di nuovo per accrescere così le loro conoscenze. Questa capacità si rivela ancora più importante in un’epoca come quella in cui stiamo vivendo in questo periodo, caratterizzata da una molteplicità di stimoli e dalla ricchezza d'informazioni a disposizione dei singoli, i quali se non avessero la curiosità innata di imparare cose nuove sarebbero facilmente preda di atteggiamenti di paura e di chiusura verso il mondo.