Intelligenza emotiva e casualità

Intelligenza emotiva e casualità
Manuale di scienza pratica dell'imprevedibile

martedì 26 luglio 2011

Sbagliando s’impara


La dottoressa Evelyn Crone, dell’Università olandese di Leida, ha svolto nel 2008 uno studio scientifico per scoprire se gli individui imparino più dai successi oppure dai fallimenti. I risultati di questa ricerca sono molto interessanti, poiché evidenziano delle differenze notevoli in rapporto all’età dei soggetti esaminati: con il crescere dell’età, anche i fallimenti cominciano a lasciare il segno sulla memoria per cui si può imparare anche da essi, mentre i bambini sembra che imparino dai successi piuttosto che dai fallimenti.
Fino ai dodici anni, il meccanismo dell’apprendimento funziona meglio attraverso i successi, poiché i neuroni memorizzano le informazioni raccolte in maniera più efficace e duratura, tanto che, in compiti analoghi proposti successivamente, i bambini tendono a rispondere ancora in modo corretto. Invece non si registra alcun miglioramento significativo dopo aver compiuto degli errori ai test cui erano stati sottoposti, ma anzi in questa fascia di età si tende a ripeterli anche la volta successiva, dimostrando così di non aver appreso nulla di positivo dal fallimento precedente.
A risultati molto simili sono pervenuti già nel 2009 anche i neuroscienziati del MIT di Boston, guidati da Earl Miller, i quali hanno condotto uno studio su un gruppo di scimmie per verificare quanto fossero in grado di apprendere dall’esperienza passata. Il test per le scimmie consisteva in una sorta di videogioco, in cui comparivano come stimolo due figure sullo schermo: un uomo con la pipa e un semaforo. Gli animali dovevano reagire alla prima immagine voltandosi verso destra, mentre al comparire della seconda avrebbero dovuto girarsi dalla parte opposta ed in entrambi i casi ricevevano in cambio un premio. Attraverso le varie prove cui sono state sottoposte, le scimmie esaminate imparavano le risposte corrette basandosi soltanto sui successi, mentre dagli errori non sembravano aver acquisito alcuna informazione utile per poter migliorare la loro performance.
Miller e i suoi colleghi misuravano l’attivazione delle cellule neuronali della corteccia prefrontale e i gangli basali, che sono le due aree del cervello più direttamente collegate con i movimenti da eseguire e che servono per coordinare pensieri e azioni. Quando si voltavano dal lato sbagliato, i neuroni di queste aree si attivavano per un tempo brevissimo, addirittura meno di un secondo, mentre in caso di successo l’attivazione delle stesse aree durava molto più a lungo, nell’ordine anche di cinque secondi. In conclusione, secondo Miller le scimmie riescono ad imparare più dai successi che dai fallimenti.
Questo modello di apprendimento non può essere applicato integralmente alla specie umana, poiché, come ha dimostrato la dottoressa Crone, da adulti gli esseri umani riescono a imparare anche dalle proprie azioni sbagliate, il cui ricordo incide sulla memoria allo stesso modo di quello delle azioni corrette. Le memorie immagazzinate nel cervello che si riferiscono alle esperienze passate costituiscono perciò una riserva preziosa di informazioni cui attingere in situazioni simili: anche evitando di ripetere gli stessi errori, una persona adulta riesce a modificare il proprio comportamento in maniera efficace.

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